Vent'anni dell'incredibile storia di Steve Jobs (Ashton Kutcher), l'uomo che sognava di cambiare il mondo e che ci riuscì. Nel 1971, ancora giovane Jobs comincia a formare la forte personalità che lo porterà ai trionfi degli ultimi anni della sua vita. Combattendo contro i propri demoni personali e gli ostacoli incontrati sul cammino, Jobs va avanti con grinta, passione, persistenza e forza di volontà, senza mai accettare compromessi.
"Jobs" è un film declamato che sostituisce all’ipnosi della velocità ("The Social Network" di Fincher su quell’altro portento di Zuckerberg, una mitragliata allucinogena di parole: tutte andate a segno) la solennità del discorso. La storia del genio è infatti un "one man show" affidato al passionale mimetismo di Ashton Kutcher su partitura diligente dello sceneggiatore esordiente Matt Whiteley. Il regista ama il suo personaggio, vivo negli occhietti iperattivi di Kutcher che riflettono con partecipazione un sole indiano come una sequenza di lettere e cifre, ma lo inserisce in un manifesto-compendio che mira ai fan della mela senza offrirci nuovi morsi.